Uno spettro si aggira per il web. Lo spettro della diffidenza. C’è diffidenza quando si legge o ascolta una notizia, quando si riceve una richiesta di contatto e persino quando si sta per concludere un acquisto.
Il sovrappopolamento del web ed il dilagare delle famigerate “fake news” rende sempre più complicato una netta identificazione tra ciò che è giusto è ciò che è mendace. Il “guardarsi con circospezione” è ormai un naturale elemento di difesa. Una corazza spesso impenetrabile che rappresenta un problema serio sia per il singolo individuo che per il brand che vuole migliorare la sua awareness.
L’unico, vero ed infallibile, antidoto contro questo processo di progressivo inaridimento della soglia di fiducia è la conquista di quote sempre maggiori di reputazione.
Da sempre, molto prima dei social, di Google e di Internet, il consolidamento della reputazione rappresenta un potente strumento cognitivo in grado di aiutarci nel mettere ordine tra le varie entità che popolano il nostro mondo. Contribuisce ad ordinarle secondo una precisa gerarchia, dalla più attendibile alla meno credibile.
La reputazione è un bene importantissimo. Non a caso la sua lesione è sanzionata da quasi ogni ordinamento giuridico del pianeta. Secondo l’articolo 595 del nostro Codice Penale “Chiunque (…) comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032.”
La lesione della reputazione sembrerebbe dunque un problema facilmente risolvibile. Ma non è così. Non in rete almeno. Nel web la distanza tra diffamante e diffamato è spesso enorme. Screditante e screditato sono soggetti lontani e chi è chiamato a schierarsi, a farsi un’idea, spesso non ha mezzi per valutare la questione.
L’unico strumento cui appellarsi è proprio il livello di reputazione degli attori.
Una sorta di ago della bilancia in grado di indirizzare in maniera determinante il giudizio finale sui contendenti.
Ma come si costruisce una solida reputazione? I cardini su cui poggia questo preziosissimo concetto sono essenzialmente due: affidabilità e credibilità.
L’affidabilità è il mantenimento della promessa di valore di un brand o di una persona. Il risultato del dover fare e/o del voler fare. Elementi che certificano il tipo di intenzionalità e il grado di libertà del soggetto. (S.P. Lampignano, 2016, Digital Reputation Management).
Chi è affidabile vanta un credito di correttezza in grado di sostenere una qualsiasi azione prima ancora di compierla.
La credibilità è competenza, conoscenza. È il saper fare (bene) le cose. Secondo Guido Gili la concessione della credibilità non può prescindere dalle qualità effettivamente possedute.
In poche parole bisogna essere bravi nel proprio lavoro e bisogna saperlo comunicare (2005, La credibilità).
Affidabilità e credibilità necessitano di tempo e costanza per consolidarsi. È necessario apportare valore e rendersi utili, soddisfacendo i bisogni del proprio pubblico.
Vigilare su come comunica un brand e soprattutto su come viene percepito è quanto mai fondamentale per garantirsi una corretta reputazione.
La reputazione non è statica. Anche se ottimamente consolidata può incorrere in crisi e danneggiarsi. Spesso anche a nostra insaputa. Per questo motivo richiede un monitoraggio costante e capillare che non può prescindere dall’utilizzo di strumenti di verifica che aiutino ad analizzare il sentiment del pubblico contribuendo ad identificare aree di miglioramento e rafforzamento.
Il vecchio adagio di Oscar Wilde “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli” non è più applicabile. Ciò che veramente conta di questi tempi è che se ne parli solo ed esclusivamente bene.