La cultura del dubbio è un approccio alla vita che incoraggia la riflessione critica e il confronto costruttivo su temi complessi.
Promuovendo la messa in discussione delle certezze e la ricerca continua di risposte più accurate, si rivela un alleato potente per quanti ricercano l’approfondimento e la specializzazione.
Nella cultura del dubbio la perplessità non è vista come un segno di debolezza, ma come uno strumento essenziale per migliorare la qualità delle decisioni.
In un contesto in cui l’Intelligenza Artificiale sta evolvendo ad una velocità spaventosa, reclamando sempre più spazio, questo approccio è quanto mai auspicabile per evitare assunzioni errate ed errori sistemici.
Attraverso la cultura del dubbio diventa possibile individuare falle nei sistemi automatizzati prima che si trasformino in problemi concreti e serializzati. In particolare, attraverso una sensibile riduzione di quello che potremmo definire come l’effetto “hype” da AI, possiamo mantenere un sano equilibrio tra l’entusiasmo per l’innovazione e la consapevolezza dei rischi reali che una simile rivoluzione comporta.
Cercare di essere più freddi delle macchine, dunque, conservando una visione critica verso tutto quello che generano.
Promuovere la cultura del dubbio ed incoraggiare il dissenso costruttivo passa attraverso la valorizzazione di nuovi “avvocati del diavolo” che mettano costantemente in discussione le decisioni artificiali evidenziandone i punti deboli.
Non è un processo facilmente standardizzabile ma che può passare attraverso tre fasi cardine. Vediamole nel dettaglio:
Fase 1 Valutare le esclusioni
È assolutamente importante concentrarsi su una mentalità basata sulle domande e non sulle risposte. Un approccio critico che porti a modellare l’attività della AI isolando subito quelli che potrebbero essere gli impatti negativi del suo operato. Un’azione da condurre concentrandosi sui criteri di esclusione più che su quelli di ammissione.
Fase 2 Organizzare revisioni periodiche e audit indipendenti
Una volta implementato il processo è vitale poter programmare verifiche regolari dei sistemi AI per individuare anomalie, bias o effetti collaterali. Un passaggio che non può prescindere dall’utilizzo di esperti esterni che possano garantire valutazioni oggettive non influenzate da interessi interni.
Fase 3 Diversificare le prospettive
In questa fase diventa fondamentale coinvolgere nei processi decisionali figure con background diversi (tecnologico, legale, etico, sociale) che consentano di ottenere una visione più completa del lavoro della AI.
Se le decisioni su come svilupparla e utilizzarla vengono prese solo da un gruppo ristretto di esperti si rischierebbe di trascurare tutte le implicazioni legali, etiche e sociali che la cosa comporta. Gli algoritmi, infatti, possono riprodurre pregiudizi esistenti e persino ignorare eventuali implicazioni legali.
L’adozione della cultura del dubbio è un punto di estrema importanza nello sviluppo della AI. Tutti i principali attori del movimento impiegano in tal senso delle specifiche risorse dedicate. Google DeepMind ha istituito un “Ethics & Society Board” per esaminare le implicazioni sociali dei loro progetti , OpenAI pubblica regolarmente report sulle limitazioni e i rischi dei propri modelli, mentre Microsoft ha implementato un “AI Ethics Review” per valutare l’impatto di ogni nuova tecnologia prima del rilascio pubblico.
Abbracciare la cultura del dubbio non significa frenare l’innovazione. Vuol dire piuttosto garantirne uno sviluppo responsabile, etico e sostenibile.
Interrogarsi costantemente sull’infallibilità dell’intelligenza artificiale è il primo passo per decisioni più sagge e lungimiranti. Del resto alla domanda “ti ritieni infallibile?” lo stessa AI di ChatGPT risponde cosi:
“No, non sono infallibile. Posso commettere errori, specialmente su argomenti complessi, informazioni recenti o contesti che richiedono interpretazioni sfumate.”
Anche questa volta ha fatto centro.
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